Playlist #2 – Sunday…
Questi sono i brani che amo ascoltare quando mi concedo del tempo per stare tranquillo in casa.
Questi sono i brani che amo ascoltare quando mi concedo del tempo per stare tranquillo in casa.
Il prossimo 23/04 insieme ad Aya Yamamoto parleremo di Design e Food.
Analizzeremo un caso di studio concreto, quello della super Gastronomia Yamamoto e e approfondiremo l’importanza che hanno avuto – ed hanno – alcune pratiche di UX Research per il suo business.
More info > https://www.facebook.com/events/719313468606026/
Questo periodo di distanziamento sociale forzato, unito ad influenze positive esterne di altri appassionati, mi ha aiutato a rifare pace con la musica. Ha avuto sempre un ruolo importante nella mia vita. Da qualche anno non riuscivo più a dedicargli il giusto tempo e la giusta cura.
Ho deciso di prendere un impegno con me stesso e pubblicare delle playlist più o meno periodiche (non potrei mai chiedere a me stesso puntualità perché mentirei in maniera spudorata).
Le prime erano già pronte e molto corpose… sono certo che sarò molto meno ingombrante in futuro :).
Questa playlist in realtà risale a qualche anno fa.
L’ho costruita mentre facevo uno dei miei viaggi in Germania, nelle campagne di Francoforte, fonte di calma e di ottimo Riesling.
Buon ascolto.
Venerdì 17 Aprile, Pnsix ed il suo progetto food Studio Dashi, si spostano in Ticino per un super webinar insieme a Pietro Leemann e Nick Difino.
Di cosa parlero?
Il cibo, restando protagonista, lascia spazio sul palcoscenico agli altri attori in un’opera complessa, la food experience, che narra di territori, di materie prime, di tradizioni, di storia e di storie di chi quel piatto lo tramanda, lo cucina, lo trasforma, lo serve. Dall’innovazione dei processi produttivi al branding, dalla scelta della materia prima al racconto di un menu, l’esperienza utente è messa sempre più al centro e su di loro, sulle persone, sui loro reali bisogni, si deve costruire una food experience coerente. In altre parole: Food Design.
Trovate tutte le info qui: https://www.fu-turismo.ch/
Un super grazie ad Elia Frapolli, Destination Makers e Responsiva.
Sapevate che il paese delle meraviglie esiste? Sapevate che si chiama Favara? Avevo sentito parlare (e bene) di questo mondo fatato nel bel mezzo di una città silente e finalmente sabato scorso ho avuto modo di vederlo con i miei occhi. Favara è una città che sta(va) morendo, una città che cade(va) a pezzi, dimenticata dai suoi stessi abitanti.
Una volta giunto in città non credevo ai miei occhi, lo sconforto mi avvolgeva ed il primo pensiero è stato: «È questa la sesta città al mondo consigliata per il turismo legato all’arte contemporanea?». Favara non si presenta bene e, ad essere onesto, in quel momento ho borbottato un: «Beh… se questo è il contesto, qualunque cosa che abbia un colore diverso dal grigio qui è arte».
Arriviamo alla trattoria dove avremmo dovuto incontrare una ragazza che fa parte di questo collettivo di giovani talenti. Valentina è una ragazza che ti fa sentire a tuo agio dopo 3 minuti. Non smette mai di parlare e non smette mai di dire cose interessanti. Ci racconta gli ultimi tre anni di Favara, degli Artisti e del Castello.
Premetto che la trattoria dove abbiamo cenato era da oscar, quindi il piacevole chiacchiericcio era accompagnato da un primo di pesce fuori dal comune e da una cameriera assolutamente strampalata ma simpatica.
Tra una chiacchiera, un racconto e una risata si fa tardi… è arrivato il momento di guardare con i nostri occhi il paese delle meraviglie. Valentina ci avvisa che il posto non è lontano, così decidiamo di incamminarci a piedi. Erano le 11.00 di sera di un caldissimo sabato di agosto, intorno a noi il silenzio era interrotto dallo smarmittare di qualche motorino truccato come la peggiore prostituta su cui dei ragazzi con un linguaggio da lord inglesi si insultavano tra di loro.
Saranno passati si e no due minuti, e nonostante la luce fioca e arancione che proveniva dai lampioni che dondolavano tra i palazzi, la nostra attenzione viene catturata da un particolare… le strisce pedonali che si presentano davanti a noi non sono delle semplici strisce… sono parte di una epica scena di space invaders! Capiamo che è arrivato il momento di svoltare e… Benvenuti alla Farm.
Perché a Favara basta voltare l’angolo di una stradina del centro per essere catapultati in un altro luogo, in un altro tempo. Non credo ci sia una capitale europea paragonabile perché Farm è un universo a sé. Valentina è il perfetto cicerone e ci fa fare un giro molto dettagliato dei sette cortili-microcosmo che contengono le opere.
I sette cortili di Farm sono tutti colorati di bianco così come i palazzi intorno, di matrice tipicamente araba, anch’essi tutti colorati di bianco. Poi c’è l’arte che invade e pervade le viuzze, si affaccia alle finestre o pende dai balconi, urlando i colori, scuotendo coscienze. Tutto è arte in Farm… anche il bagno.
Ma non voglio parlarvi di arte perché non ne sono capace, voglio parlarvi del cambiamento.
La Farm è un esempio di cambiamento di cultura vera. È un posto aperto a tutti, dove nessuno ti guarda dall’alto in basso perché “non sei dell’ambiente” o perché “non sei un addetto ai lavori”. Tra le persone di Farm c’è la coscienza che il cambiamento ha bisogno di tempo per appartenere a tutti, soprattutto in una regione che, diciamoci la verità… è un po’ bigotta. Da noi “cambiamento” significa dover fare i conti con ogni tipo di ostruzionismo e insulto, dalla politica all’opinione pubblica per finire al ragazzino che non capisce la differenza tra un’opera e un giocattolo e tenta di distruggerla.
Tra i cortili di Farm nessuno giudica, si dialoga, si cerca di far capire che anche dietro uno strano uomo vestito in maniera bizzarra che si dimena in maniera imbarazzante c’è uno studio, qualcosa che magari non arriva subito ma che va rispettato.
E se non siete convinti che questo sia il cambiamento vi aggiungo una nota, forse una delle più importanti. Non ci sono soldi pubblici in Farm. Era il 2010 quandoAndrea Bartoli e la moglie Florinda Saieva, fondavano questo posto, senza chiedere niente a nessuno, mecenati del ventunesimo secolo. Si aggiunge presto un collettivo di architetti che si mettono a disposizione per “la messa in sicurezza del centro storico”. Poi arriva il collettivo FUN (Favara Urban Network), giovani volontari che dedicano il tempo libero (e non solo) per “rianimare il paese”, poi arrivano gli artisti che acquistano le case a Favara ed i CEO di grandi aziende estere che acquistano le case a Favara. Aprono alberghi e B&B, tornano ben quattro bar nella piazza principale, riapre il Castello che diventa anch’esso un concentrato di arte ed una deliziosa meta per il turismo. Favara vive.
Favara è un esempio della cultura del fare, la Farm è uno di quelli che amo chiamare Centri di Contagio della Nuova Sicilia.
Articolo scritto per CheFuturo il 25 agosto del 2013
Più che un post, è una lettera di risposta all’articolo di Riccardo Luna su Che Futuro dal titolo: Sud, gli innovatori possono davvero fermare il declino? Dimostriamolo.
Caro Riccardo,
sabato scorso, Antonio Perdichizzi ha rilanciato sui social un tuo articolo che reagiva al brusco risveglio che tutti noi abbiamo accusato dopo aver letto i drammatici dati Svimez. Ho criticato in maniera forse troppo dura l’articolo perché, come già detto, sono stanco di iniettarmi e farmi iniettare dosi di ottimismo per godere di uno sballo che dura poco.
Ma devo anche ammettere che il processo del racconto, della buona pratica, se pur drogato di entusiasmo, ha sicuramente educato ad una cultura d’impresa che non teme l’errore e che non demonizza il fallimento.
Come ben sai, ho portato anche io la bandiera del mezzogiorno per più di tre anni. Ero carico di ottimismo e raccontavo di una terra in cui l’assenza di tutto si trasformava in opportunità citando spesso un antico detto siciliano che dice “‘ndo paisi ill’orvi cu avi n’occhiu è re” ovvero “Nel paese dei ciechi chi ha un solo occhio è un re“.
Ho raccontato del Sud come un grande libro che narra di una terra meravigliosa e delle emozionanti pagine bianche tutte da scrivere che la mia generazione si è trovata davanti voltando pagina.
Ho raccontato del Sud di chi con impegno e sacrificio ha costruito qualcosa portandola avanti nonostante tutto.
Ho raccontato del Sud ricco di filantropi e visionari.
Ho raccontato del Sud delle comunità artistiche, della nuova agricoltura, del buon cibo e della sostenibilità.
Ho raccontato della mia “Italia al contrario” dove le buone pratiche dell’innovazione sociale proprio al sud trovano la loro migliore applicazione.
Lo hai fatto anche tu, lo ha fatto Antonio Perdichizzi nel mondo delle Startup e delle imprese, lo ha fatto Umberto di Maggio con Libera, Andrea Bartoli con FARM, Giulio Vita con la Guarimba, Roberto Covolo con ExFadda, Cristina Alga con Clac, lo hanno fatto e lo fanno ogni giorno in centinaia.
Lo abbiamo fatto, ognuno a suo modo. La cosa importante è che oggi possiamo fare i conti con i risultati: nel bene e nel male.
Prendiamo il caso dell’innovazione tecnologica.
Tu stesso hai pubblicato un libro che, da un lato, è stato d’ispirazione per alcuni aspiranti ingenui imprenditori – o come li abbiamo etichettati noi italiani: gli “sturtupper”- dall’altro ha rappresentato per alcuni una sorta di report leggibile degli “Stati Generali dell’Innovazione in Italia nel 2012”. Il fatto che, due anni dopo, le poche realtà meridionali degne di essere citate siano – o quasi – le stesse contenute nel libro, ci fa capire che tutto questo volano di crescita abbia avuto troppi attriti ambientali e quella debole spinta abbia coinvolto solo pochi che, in buona o cattiva fede, hanno visto crescere se stessi ma nessun “territorio“. Un risultato parziale che ci vede in pareggio ma che rischia di vederci sfiancati nel secondo tempo.
Il fatto (tangibile) che, a differenza di dieci anni fa, un giovane neolaureato del Sud oggi pensi con più facilità di fare impresa, non lo traduco ancora in cambiamento. Sicuramente dieci anni fa non bastavano investimenti sotto i 50000 euro per fare impresa, ne occorrevano molti di più. Oggi fare impresa “sembra” essere più accessibile ma in realtà non è così e la longevità di tutte queste startup ne è la prova. Qualcuno ha mai quantificato il valore economico dei flop degli innovatori degli ultimi tre anni? Secondo me andrebbe fatto, giusto per capire la quantità e la qualità del danno economico e sociale provocato dal “fenomeno”. Abbiamo forse agito da attivatori di un processo, ma l’ambiente, che dovrebbe fungere da catalizzatore, da accelerante in realtà fa da inibitore.
Il risultato di tanto entusiasmo, a mio avviso, è un sistema economico costituito in parte da neo micro e piccole imprese totalmente drogato, un sistema che non fa che danneggiare l’intero territorio in cui questo pone le basi facendo focalizzare le risorse – sia microeconomiche che umane – su progetti che per colpe, non per forza legate al modello di business, rischiano di essere senza futuro, senza visioni lucide. Fare impresa non può essere l’alternativa alla disoccupazione: non tutti sono in grado di essere imprenditori allo stesso modo in cui non tutti possono essere architetti o cuochi o astronauti.
Ma torniamo al nostro Sud.
Se qualcuno diceva ironicamente che “fare impresa è un’impresa“, posso confermarti che fare impresa nel Mezzogiorno oggi è proprio un atto eroico.
I dati Svimez, per noi che al Sud ci viviamo, non sono allarmanti: sono solo una dura e amara presa di coscienza, un confronto con la metrica greca che ci fa sprofondare ancora più giù.
Per come ci siamo svegliati sabato mattina, sembra quasi si possa parlare di “emergenza Mezzogiorno“. Un’emergenza è un evento con un inizio perfettamente identificabile e con una prospettiva di fine abbastanza prossima.
Noi stiamo parlando di un processo che dura da decenni, di un immobilismo politico, ciclico, professato da tutti i governi – di destra e di sinistra – che si sono susseguiti sia a livello nazionale ma soprattutto regionale.
Gli ultimi, quelli correnti, sono forse i peggiori.
Concordo in pieno con quanto dice Francesco Tassone, lasciamo da parte l’orgoglio e, per primi noi terroni, prendiamo il Sud per quello che è: “un’area geografica fortemente sottosviluppata“.
Per questo #ilsudsiamonoi mi offenderebbe. Non ci serve un momento di solidarietà e di sdegno alla #jesuischarlie da dimenticare con la prossima prima pagina (lo dimostra il fatto che il caos di Fiumicino sia la vera notizia della giornata di ieri). Non ci servono le immagini di profilo su FB con la trinacria al posto di quella greca. Serve solo che ci sia data la possibilità di recuperare le conseguenze di una colpa che non ci appartiene, di dimostrare che siamo e generiamo valore esattamente come qualsiasi altro italiano.
A differenza di quanto possa sembrare dalle mie parole, non ho smesso di crederci, continuerò a portare la bandiera del Sud, continuerò a raccontarla, ma in maniera diversa, meno entusiasta e più analitica. Credo sia arrivato il momento di alzare l’asticella della complessità, di cominciare a pensare in modo più analitico.
Quello che è stato fatto ha generato qualcosa ma purtroppo è chiaro che non basta
Un “racconto” può risultare uno sterile input se non siamo in grado di permettere agli output di sopravvivere.
Pensiamo atti concreti, eseguiamo analisi complete e trasparenti, coinvolgiamo e partecipiamo.
Invece di celebrare i casi “vincenti” dovremmo provare ad analizzare con cura cosa ha funzionato e cosa no per ognuno di loro, ricordandoci sempre che questa non è l’America, non è la Silicon Valley e che questo “non è un paese per innovatori” solo perché qualcuno ci sta negando il fatto che possa diventarlo.
Abbiamo identificato il punto zero. Cominciamo da qui.
Chi vive qui non ha bisogno di capire cosa serve, lo sa già. Sono le stesse cose che suggeriva Tassone nel suo post: “Detassazione, deregolamentazione, decontribuzione e massicci investimenti in infrastrutture soprattutto materiali (strade, porti, reti di distribuzione etc.), meritocrazia attraverso il licenziamento degli incompetenti che siedono in posti da mega dirigenti.”
Secondo me è arrivato il momento di spegnere la “giostra” degli innovatori, farli diventare protagonisti del cambiamento di tutti, farli pensare a politiche reali per fare la differenza. Ma tutto questo, come sottolineava giustamente Saviano nella sua lettera al Presidente del Consiglio, dobbiamo farlo presto.
Il Ministro Delrio a Catania oggi dichiara: “Dobbiamo recuperare un gap di decine di anni“. (fonte Ansa)
Io aggiungo: “Si, ma se li recuperiamo in trenta di anni non risolviamo tanto“.
Altro proclama “Ricordo spesso che abbiamo oltre 4 miliardi e 300 milioni già stanziati per l’alta velocità in Sicilia” ma aggiunge “Se mi chiedono se potranno prenderla il prossimo anno, la mia risposta é no perché dobbiamo dire la verità ma siamo impegnati ad aprire al più presto i cantieri“.
Grazie per l’onestà ma nel frattempo nel Regno delle due Sicilie (letteralmente visto che attualmente è spezzata in due) viviamo una situazione di disagio costante che sta penalizzando non solo a livello economico ma anche sociale gli abitanti dell’isola.
Al caro ministro Delrio, che forse in fondo un po’ mi piace, una visione d’insieme non farebbe male.
Strade e Autostrade.
Governo nazionale e regionale non sono riusciti a rispondere ad un reale “stato di emergenza” per la mobilità sull’asse PA-CT. Adesso “promettono” reazioni veloci e Delrio garantisce che entro inizio agosto consegneranno la bretella. Il problema comunque non si risolve nella sua interezza. La bretella è un tampone, a noi serve l’autostrada CT-PA che comunque è pericolosa nella sua totalità, così come lo sono molte strade statali super trafficate come la Catania-Gela, la Agrigento-Palermo o la Agrigento-Trapani. Forse un’alternativa al traffico gommato potrebbe ridurre il numero di morti.
Ferrovie.
Sulla tratta ferroviaria Delrio aggiunge “Abbiamo potenziato con la Regione il servizio ferroviario“. Vero, peccato che le infrastrutture siano talmente vecchie da subire il disallineamento dei binari nelle giornate più calde. Quindi treni fermi e gente costretta ad aspettare oltre 4 ore per tornare a casa (fonte GdS)
Abbiamo bisogno “ieri” di una rete ferroviaria decente. Ci sono stati tolti i treni a lunga percorrenza (fonte GdS). Oggi, un siciliano non può più raggiungere il nord in treno ma deve scendere a Messina, traghettare a piedi e poi ripartire da Reggio Calabria. Lo stesso vale per la tratta inversa. Un calvario vissuto anche da tutte le persone anziane e/o non in perfette condizioni fisiche che non possono viaggiare in aereo per motivi di salute o dai turisti (con le loro valigie ed i loro bambini) che sono più a Sud di Napoli (ultima tratta utile in aereo).
Aerei.
La mancanza di alternative si traduce in una fluttuazione incontrollata dei costi per chi viaggia in aereo. Al primo accenno di disagio, basti pensare all’esposto di Bianco all’Enac dello scorso maggio a seguito dell’incendio a Fiumicino (fonte Meridionews), i prezzi schizzano a livelli stellari e chi non può rimane a casa. Se a questo aggiungiamo altre furbate delle compagnie aeree il disagio diventa dramma (Carnet di voli non spendibili da e per la Sicilia nel mese di agosto).
E non me la sento di approfondire su quanto tutto questo sia penalizzante tutto questo per chi, come me, si ostina a fare impresa in Sicilia. Lascio spazio alla vostra immaginazione.
In conclusione mentre Renzi salva la Grecia e Crocetta è concentrato a difendere la sua posizione personale e politica la carretta del mare chiamata Sicilia va alla deriva.
Ma il teatrino non si ferma qui.
Nel frattempo l’opposizione del M5S con il suo attivismo sociopolitico giusto oggi (e vedi che tempismo!) promette l’inaugurazione della sua bretella entro una settimana. Una bretella che è stata bocciata dal commissario nominato dal Governo perché pericolosa (fonte Meridionews) a causa della pendenza media del 15% con picchi del 25% su pavimentazione fatta di un conglomerato di filler, sabbia e pietrisco. Ma loro (probabilmente) urlano al complotto e vanno avanti. Vista la pericolosità (in parte riconosciuta anche dal M5S) il traffico non è consentito ai mezzi pensanti e a due ruote ed inoltre la velocità massima consentita è 20km/h. Il mio tachimetro segna 20km/h quando l’auto è posteggiata ma considerando che si tratta solo di 1,5km penso che la cosa sia accettabile.
“Il progetto è costato 360mila euro, di cui 300mila sono stati finanziati dal taglio degli stipendi da parte dei deputati regionali del Movimento cinque stelle. Gli altri 60mila vanno trovati attraverso donazioni. «Finora ne abbiamo raccolti 5mila – precisa Giannopolo – ma altri 15mila arriveranno dalle sponsorizzazioni di Mediolanum, Enel green power e alcune banche del credito cooperativo, il Comune metterà altri 5mila euro” (fonte Meridionews)
Una piccola nota stonata: Mediolanum che sponsorizza un’operazione del M5S mi fa proprio sorridere. Non invidio colui che avrà dato la notizia al cavaliere e alla sua quota forzata < 10% della banca da lui stesso fondata.
Un’operazione lodevole quella dei pentastellati sulla quale però rimangono molti dubbi personali.
Il primo è di tipo romantico: per un amante della Sicilia come me, ricoprire di simil-calcestruzzo una regia trazzera è un delitto. Andrebbero recuperate perché raccontano una storia antica. Considerate che la definizione di Regia Trazzera (intesa come caratteristiche di una trazzera per essere regia) risale ai tempi dell’imperatore Federico. (Per chi volesse approfondire)
La seconda è più pratica: una strada con una pendenza del 25% in agosto ed in condizioni di traffico sostenuto non è potenzialmente pericolosa è da evitare come la peste. Pensate al buon odore misto di frizione bruciata e gas di scarico che sentirete entrare dai vostri finestrini in caso di code nelle ore di punta (pare ci saranno almeno due semafori). Ma queste sono supposizioni personali fatte da uno che in più odia le salite.
Per concludere, secondo i due cronogrammi, la prima settimana di agosto i siciliani potrebbero avere ben due alternative al viadotto Himera. Se Delrio dovesse mantenere la promessa sarebbe una bella sberla ai 360000 euro spesi quasi inutilmente dal movimento.
In tutta questa battaglia pseudopolitica di attivismo, di promesse e di false partenze. L’unica certezza è che la Regia Trazzera dei grillini sia la metafora che rappresenta in pieno lo stato della mobilità in Sicilia. Una lunga salita, provvisoria e pericolosa, con qualche stop qua e la che alla fine ci porterà dove eravamo prima: sulla vecchia e pericolante autostrada PA-CT.
Alla Farm di Favara, provincia di Agrigento, per la prima volta si sono incontrate realtà delle due regioni che non avevano mai collaborato. Gli effetti? Li racconta in questo reportage un innovatore-imprenditore che crede nel dialogo e nella consapevolezza.